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Qui puoi trovare le risposte alle tue domande

Nel panorama della proprietà industriale, due strumenti fondamentali per garantire la qualità e la validità dei brevetti concessi sono le osservazioni da parte di terzi e l’opposizione. Entrambi permettono di limitare la concessione o il mantenimento di brevetti non validi, rafforzando il sistema brevettuale e garantendo che i diritti esclusivi vengano concessi solo alle invenzioni che soddisfano i requisiti di legge.

Osservazioni da parte di terzi

L’istituto delle osservazioni da parte di terzi permette a chiunque di intervenire nel processo di esame di una domanda di brevetto, fornendo informazioni che possano influenzare la decisione dell’ufficio brevetti.

Procedura

Le osservazioni da parte di terzi possono essere presentate prima della concessione del brevetto, generalmente nel periodo in cui la domanda è ancora in esame. Il meccanismo varia a seconda della giurisdizione, ma ad esempio, nell’ambito del brevetto europeo, esse sono regolate dall’Articolo 115 della Convenzione sul Brevetto Europeo (CBE). Qualsiasi soggetto può inviare osservazioni all’European Patent Office (EPO), indicando motivi per cui il brevetto non dovrebbe essere concesso, come:

  • Mancanza di novità
  • Difetto di attività inventiva
  • Insufficiente descrizione dell’invenzione

Le osservazioni devono essere fondate su prove documentali, come brevetti anteriori o articoli scientifici, e possono essere presentate senza costi aggiuntivi.

Vantaggi e finalità

L’osservazione da parte di terzi consente di migliorare la qualità del sistema brevettuale, evitando la concessione di brevetti invalidi che potrebbero limitare ingiustamente la concorrenza. Inoltre, per le aziende, può rappresentare uno strumento strategico per contrastare domande di brevetto potenzialmente dannose per il proprio settore.

Opposizione al brevetto

L’opposizione, invece, è un meccanismo formale che consente di contestare un brevetto già concesso. È una procedura più strutturata rispetto alle osservazioni da parte di terzi e, se accolta, può portare alla revoca totale o parziale del brevetto.

Procedura

L’opposizione può essere presentata solo dopo la concessione del brevetto e entro un periodo stabilito. Per esempio, nel caso dei brevetti europei, il termine è di nove mesi dalla pubblicazione della concessione sul Bollettino Europeo dei Brevetti.

L’opposizione deve essere motivata con argomentazioni giuridiche e prove documentali, e può essere basata su:

  • Mancanza di novità o attività inventiva
  • Insufficiente descrizione dell’invenzione
  • Materie escluse dalla brevettabilità
  • Estensione del contenuto oltre i limiti della domanda iniziale

L’EPO esamina l’opposizione attraverso una divisione d’opposizione, che può decidere di revocare il brevetto, mantenerlo invariato o modificarlo.

Vantaggi e importanza

L’opposizione rappresenta un’importante tutela per il mercato, evitando il mantenimento di brevetti ingiustificati che potrebbero limitare l’innovazione e la concorrenza. Le aziende possono usare questa procedura per impedire che un concorrente acquisisca un diritto esclusivo su un’invenzione non realmente meritevole di protezione.

Sia le osservazioni da parte di terzi che l’opposizione sono strumenti chiave per garantire un sistema brevettuale efficace ed equilibrato. Le prime intervengono in fase di esame, mentre la seconda dopo la concessione del brevetto, offrendo un’opportunità di revisione più approfondita. Entrambi i meccanismi contribuiscono a un mercato più equo, evitando la monopolizzazione di soluzioni tecniche non innovative e proteggendo il legittimo interesse di tutti gli attori del settore.

Con la terminologia intelligenza artificiale (IA) generativa si intende una tipologia di intelligenza artificiale che impiega il machine learning e il deep learning per produrre contenuti; in particolare, questo tipo di intelligenza artificiale viene istruita e addestrata mediante un enorme quantitativo di dati di base, detto dataset, in maniera tale che, alla fine del processo di addestramento, l’IA sia in grado di prendere decisioni e produrre contenuti in risposta a richieste specifiche dette prompt.

Il recente sviluppo e la diffusione globale di questa tipologia di intelligenza artificiale ha aperto numerosi dibattiti normativi, in particolar modo in relazione al diritto d’autore, tutt’ora irrisolti.

Questi dibattiti riguardano soprattutto la possibile violazione di diritti altrui, dal momento che l’IA potrebbe addestrarsi su dati protetti da diritto d’autore, e dubbi sulla legittimità di conferire diritti ad un IA nel caso in cui dovesse generare un contenuto creativo.

La fase di addestramento e generazione e le possibili violazioni di dati protetti

La fase di addestramento dell’IA generativa è un passo fondamentale, in quanto necessario a permettere successivamente all’IA di svolgere in maniera “creativa” il suo lavoro di generazione di contenuti e, allo stesso tempo, critico, dal momento che questo addestramento avviene su un volume di dati enorme, dati potrebbero tuttavia essere soggetti a tutela altrui.

Se, infatti, l’IA dovesse generare un contenuto nuovo sulla base di dati protetti, questo contenuto potrebbe essere considerato come un’opera derivata. Da qui il dilemma: l’opera derivata è da considerarsi “originale” e il processo di generazione del contenuto costituisce una evoluzione legittima dell’opera originale? L’intelligenza artificiale viola un diritto d’autore utilizzando dati protetti durante la fase di addestramento?

Dal momento che le leggi sul diritto d’autore hanno sempre avuto come soggetto l’essere umano e la sua creatività, avere una risposta chiara e univoca nel caso dell’IA non è semplice.

L’intelligenza artificiale generativa può detenere diritti d’autore?

Nel caso in cui l’intelligenza artificiale dovesse generare, a partire da un addestramento su dati non protetti, un contenuto originale e creativo, può questo essere protetto dal diritto d’autore?

Come detto poc’anzi, dal momento che le leggi sul diritto d’autore hanno sempre avuto come soggetto l’essere umano e la sua creatività, non è semplice avere una risposta certa nel caso dell’intelligenza artificiale come soggetto. Al momento, infatti, le leggi attuali non riconoscono la possibilità, per un soggetto diverso dall’essere umano, di essere riconosciuto come un’entità in grado di detenere diritti. Inoltre, bisogna tenere conto che l’IA, in quanto sistema artificiale, è stata a sua volta creata da un essere umano. Chi dovrebbe essere, nel caso, il vero soggetto detentore dei diritti sul contenuto creativo, l’IA o lo sviluppatore che l’ha creata?

Un altro punto cruciale riguarda il grado di coinvolgimento umano nella creazione di contenuti generati dall’IA. Se un individuo fornisce un prompt o supervisione al modello, in che misura può essere considerato l’autore dell’opera risultante? Il contributo umano può variare: in alcuni casi, l’input fornito dall’utente è minore (ad esempio, un comando generico per una musica), in altri è più dettagliato e specifico (ad esempio, un prompt per un romanzo con temi complessi). Alcuni esperti ritengono che, sebbene l’IA giochi un ruolo fondamentale nella produzione del contenuto, l’autore umano dovrebbe comunque essere riconosciuto come titolare dei diritti d’autore, soprattutto se il processo creativo dipende in misura significativa dalle sue istruzioni.

Tutte queste domande e tematiche legittime, al momento, sono prive di risposte certe.

La visione statunitense

Gli Stati Uniti hanno cominciato con anticipo ad esplorare come adattare le leggi sul diritto d’autore all’era dell’IA. Lo U.S. Copyright Office, in particolare, ha sindacato che non è possibile registrare un’opera generata esclusivamente da un’IA, in quanto non c’è un “autore umano”.

La componente umana, di conseguenza, continua ad essere vista come essenziale, ma la questione è ancora lontana da una definitiva regolamentazione. Per quanto concerne l’utilizzo di materiale protetto da copyright per l’addestramento di sistemi di intelligenza artificiale, sono già in corso controversie legali, che non fanno altro che evidenziare la necessità di leggi e norme specifiche.

L’Artificial Intelligence ACT: un primo tentativo di regolamentazione per le IA in Europa

L’Europa ha recentemente definito il primo regolamento riguardante l’Intelligenza Artificiale, anche per provare, a lungo termine, a dare una risposta comune alle domande tutt’ora irrisolte, con l’approvazione del cosiddetto Artificial Intelligence ACT, o AI Act, in vigore dal 1° agosto 2024 ma che entrerà effettivamente a pieno regime applicativo entro il 2026.

Questo regolamento avrà automaticamente effetto nei Paesi dell’Unione, senza richiedere un recepimento individuale da parte degli Stati membri e punta a stabilire, per la prima volta, delle norme di utilizzo delle intelligenze artificiali.

A onor del vero, l’AI Act non comprende, allo stato attuale, disposizioni specifiche per i diritti di proprietà intellettuale. Viene, tuttavia, stabilito che tutti i fornitori di modelli di IA dovranno rispettare la Direttiva sul diritto d’autore nel mercato unico digitale, o Direttiva 2019/790, che ha l’obiettivo di armonizzare il quadro normativo comunitario del diritto d’autore nell’ambito delle tecnologie digitali e in particolare di Internet. La direttiva consente attività di estrazione di dati e testo effettuate da opere e altri materiali cui si abbia legalmente accesso, ma ciò solo nel caso in cui il titolare dei diritti non abbia espresso una riserva, detta “opt-out”, contro tali usi.

Inoltre, tutti i fornitori di modelli di IA dovranno rendere accessibile al pubblico, in forma di un riepilogo non dettagliato tecnicamente e che tenga conto della necessità di proteggere segreti commerciali e informazioni aziendali, il materiale sfruttato per l’addestramento del modello di IA, per una maggiore trasparenza.

Naturalmente, questo regolamento toccherà anche soggetti esterni alla UE che scelgano di introdurre nell’Unione Europea sistemi di intelligenza artificiale, in maniera tale da garantire che nessun soggetto esterno possa guadagnare un vantaggio competitivo a causa di disparità di normativa.

Prospettive Future

La questione del diritto d’autore nell’era dell’intelligenza artificiale è ancora in evoluzione, e le leggi dovranno probabilmente adattarsi alle nuove realtà. È possibile che vengano creati nuovi modelli giuridici che possano distinguere tra le opere create da IA, quelle co-creato dall’uomo e quelle interamente umane. La creazione di un “autentico” quadro normativo in grado di rispondere a queste sfide richiederà il coinvolgimento di legislatori, esperti legali e tecnologi, con l’obiettivo di proteggere adeguatamente i diritti degli autori e dei creatori.

In conclusione, mentre l’IA sta ridefinendo i confini della creatività, il diritto d’autore dovrà essere in grado di rispondere a questa nuova era digitale, cercando di bilanciare l’innovazione con la tutela dei diritti dei creatori umani. Le prossime mosse legislative saranno fondamentali per delineare il futuro della proprietà intellettuale nell’era dell’intelligenza artificiale generativa.

La dottrina degli equivalenti rappresenta un principio giuridico fondamentale nel diritto brevettuale, volto a garantire una tutela effettiva dell’invenzione oltre il mero significato letterale delle rivendicazioni del brevetto. Questa dottrina consente al titolare del brevetto di far valere i propri diritti anche contro soluzioni tecniche che, pur non riproducendo esattamente ogni elemento rivendicato, raggiungono sostanzialmente lo stesso risultato attraverso mezzi equivalenti.

Origini e fondamenti della dottrina

La dottrina degli equivalenti trova origine nella giurisprudenza anglosassone e si è sviluppata progressivamente anche nei sistemi giuridici europei. Negli Stati Uniti, il principio è stato formalizzato nella storica sentenza Graver Tank & Manufacturing Co. v. Linde Air Products Co. (1950), in cui la Corte Suprema ha affermato che una variazione non letterale di un’invenzione può comunque costituire contraffazione se svolge la stessa funzione, nello stesso modo e con lo stesso risultato (test della function-way-result).

In Europa, la dottrina ha trovato applicazione attraverso la Convenzione sul Brevetto Europeo (CBE), in particolare nell’articolo 69 e nel relativo Protocollo interpretativo, che stabiliscono che la portata della protezione di un brevetto non è limitata all’interpretazione strettamente letterale delle rivendicazioni, ma deve essere determinata in modo equo considerando anche gli equivalenti.

Come funziona la dottrina degli equivalenti?

La dottrina degli equivalenti permette di ampliare la tutela brevettuale al di là del testo letterale delle rivendicazioni. In generale, per determinare se un’invenzione contraffà un brevetto sotto il principio degli equivalenti, si analizzano tre criteri fondamentali:

  1. Equivalenza funzionale – L’elemento sostitutivo svolge la stessa funzione dell’elemento brevettato.
  2. Equivalenza strutturale – L’elemento opera nello stesso modo dell’elemento originale.
  3. Equivalenza del risultato – L’elemento produce lo stesso effetto dell’elemento brevettato.

Nei sistemi giuridici europei, si utilizza anche il test Improver (o test delle domande di Improver Corporation v. Remington Consumer Products), che verifica se la modifica apportata è ovvia per un esperto del settore e se il risultato ottenuto è sostanzialmente identico a quello della soluzione brevettata.

Finalità e limiti della dottrina

L’obiettivo principale della dottrina degli equivalenti è evitare che terzi possano eludere la protezione brevettuale attraverso modifiche minime e non sostanziali. Tuttavia, l’applicazione della dottrina deve bilanciare due esigenze:

  • Tutela dell’inventore, che deve poter godere di un’effettiva protezione della sua invenzione.
  • Certezza giuridica per i terzi, affinché possano comprendere chiaramente i confini della protezione brevettuale.

Un limite significativo della dottrina è il principio della “rinuncia” (prosecution history estoppel), secondo cui il titolare del brevetto non può rivendicare una protezione più ampia rispetto a quanto dichiarato in fase di esame davanti all’ufficio brevetti. Inoltre, la dottrina non può essere utilizzata per espandere il brevetto oltre ciò che un esperto del settore potrebbe ragionevolmente prevedere.

La dottrina degli equivalenti rappresenta quindi un meccanismo essenziale per garantire una protezione efficace dei brevetti, impedendo elusioni facili e favorendo un equilibrio tra l’interesse dell’inventore e quello del pubblico. La sua applicazione varia da giurisdizione a giurisdizione, ma il principio sottostante rimane lo stesso: la protezione brevettuale non si limita al significato letterale delle rivendicazioni, bensì comprende anche soluzioni tecniche equivalenti, purché soddisfino i criteri stabiliti dalla giurisprudenza.

Il Cardiff City Football Club è squadra gallese di grande tradizione, con una storica militanza nelle serie minori inglesi, vantando nel suo palmares la FA Cup del 1927, che ancora oggi fa dei Bluebirds (le rondini, appellativo del club) l’unica compagine non inglese ad essersi aggiudicata il trofeo. Eppure, la squadra ha vissuto un periodo estremamente controverso e turbolento a inizio degli anni 2010, a causa di un tentativo di rebranding imposto dalla dirigenza di allora, nella figura del magnate malese Vincent Tan. Questa iniziativa, che ha suscitato un ampio dibattito pubblico, è stata segnata da una serie di decisioni che hanno sollevato numerose proteste da parte dei tifosi, mettendo a dura prova l’identità storica del club e sollevando, forse, i primi interrogativi sulla gestione del cosiddetto “calcio moderno”, con la spaccatura tra la visione della proprietà, pronta a qualsiasi azione pur di incrementare l’appeal commerciale della squadra, e la visione della tifoseria, che vive invece di una componente romantica e passionale, legata alle tradizioni e che nella squadra ha la capacità di rispecchiarsi e identificarsi.

Il rebranding: cambio di colore e logo in favore di un maggiore appeal commerciale

Nel 2012, sotto la proprietà del magnate malese Vincent Tan, la dirigenza ha intrapreso un audace piano di rebranding, con l’intento principale di far crescere il club a livello internazionale e renderlo più attrattivo per un pubblico globale, in particolar maniera per il mercato asiatico. Il piano prevedeva sia un cambio di colore della maglia, sia uno stravolgimento del logo del club.

I Bluebirds vantavano, all’epoca, una storica maglia di casa blu, adottata nel lontano 1908, ossia 19 anni dopo la data di fondazione della squadra stessa sotto il nome Riverside AFC, e uno stemma blu in cui dominava la scena una rondine del medesimo colore (da cui l’appellativo della squadra) con, in piccolo, la presenza del drago Y Ddraig Goch, simbolo del Galles.

A seguito del rebranding imposto, la squadra ha iniziato a vestire una casacca rossa – usata più volte in passato come “away shirt”– relegando a seconda maglia la tradizionale casacca blu; inoltre, il logo o stemma è andato incontro ad un totale stravolgimento, con la rimozione del colore blu e il relegare la rondine ad elemento marginale alla base dello stemma stesso, a favore di un grande drago rosso, simbolo del Galles.

Come si diceva, l’intento della società era incrementare l’appeal della squadra nel mercato asiatico, dove il colore rosso è di buon auspicio secondo la cultura tradizionale e dove il drago assume una forte connotazione simbolica.

A onor del vero, il presidente aveva addirittura pensato di proporre un cambio nome del club in “Cardiff Dragons”, per tornare poi velocemente sui suoi passi dopo la reazione della piazza, con un “NO!” apparso sulla prima pagina sportiva del quotidiano South Wales Echo.

Come si può presagire, il tentativo di rebranding non fu accolto con grande favore.

Le reazioni della tifoseria

Le iniziative hanno subito scatenato innumerevoli proteste da parte del tifo storico dei Bluebirds che, tuttavia, non sono state sostenute, almeno inizialmente, dall’intera massa di supporters, evento che ha determinato una scissione all’interno della tifoseria stessa.

La società allora, allo scopo di cercare di accaparrarsi le simpatie dei più, optò per regalare, per una partita di campionato, una sciarpa raffigurante i nuovi colori e il nuovo stemma ad ogni tifoso presente allo stadio; la società, inoltre, offrì ai tifosi la possibilità di essere immortalati con le nuove sciarpe e di vedere le proprie foto pubblicate sui canali social ufficiali del club in cambio di un rimborso della cifra spesa per l’abbonamento stagionale. L’offerta in questione, per qualche tempo, convinse buona parte del tifo occasionale a vestire di rosso allo stadio.

Tuttavia, a lungo andare, ed anche in seguito ai continui sfottò dei rivali storici, lo Swansea City, e di altre tifoserie, che iniziarono ad appellare con cori di scherno i tifosi dei Bluebirds con “who are you, reds?”, buona parte del tifo che sembrava aver inizialmente accolto in maniera favorevole il rebranding fece marcia indietro, ricompattando così la tifoseria con il suo nucleo storico, fin da subito contrario ad abbandonare la tradizione.

Uno degli eventi più emblematici fu la festa per la promozione in Premier al termine della stagione 2012-13 che vide la squadra, in divisa rossa, sollevare al cielo il trofeo della Championship davanti ad una cornice di pubblico vestito, invece, con lo storico colore blu.

Il fallimento del rebranding e la marcia indietro

Viste le reazioni suscitate nella tifoseria e il susseguirsi di marce di protesta e petizioni per fare marcia indietro da parte dello zoccolo duro della tifoseria, la proprietà nel 2015 ha deciso infine di tornare sui suoi passi, ripristinando il colore tradizionale blu della maglia di casa e relegando nuovamente la casacca rossa al suo ruolo di divisa da trasferta; analogamente, il logo è stato modificato per allontanarsi dalla versione proposta con il rebranding e tornare ad un design più legato alla storia del club, con la rondine blu a dominare nuovamente la scena, seppur introducendo una bordatura rossa dello stemma ed un dragone alla base, chiaramente differente rispetto al tradizionale drago gallese e più simile, nell’estetica, ai draghi secondo la tradizione asiatica.

Conclusioni

Il fallito rebranding del Cardiff City FC è diventato un caso di studio su come le decisioni prese senza tenere conto della storia e della cultura di un club possano danneggiare il legame con la tifoseria. Nel calcio, dove l’identità storica e la passione dei tifosi sono spesso più importanti del guadagno economico a breve termine, il tentativo di modificare un aspetto fondamentale come il colore della maglia e il logo può portare a gravi conseguenze.

Alla fine, la proprietà del club ha imparato a proprie spese che il calcio non è solo un business, ma anche e soprattutto un legame profondo con la città e la sua comunità. E mentre il club ha cercato di superare quel periodo di crisi, la lezione che ne emerge è che l’autenticità e il rispetto per la tradizione sono elementi fondamentali per mantenere la lealtà dei tifosi e il successo a lungo termine.

Il brevetto per nuovo uso, noto anche come brevetto dipendente, è una forma di protezione intellettuale che consente di brevettare un uso innovativo di un’invenzione già nota. Questo tipo di brevetto è particolarmente comune nel settore farmaceutico, ma trova applicazione anche in altri campi tecnologici.

Cos’è un brevetto per nuovo uso?

Un brevetto per nuovo uso si riferisce a un’invenzione già esistente che viene impiegata in un modo inedito e non ovvio per un esperto del settore. Questo significa che il prodotto o il processo in sé non sono nuovi, ma lo è il loro utilizzo specifico. Per essere brevettabile, il nuovo uso deve rispettare i requisiti fondamentali della brevettabilità: novità, attività inventiva e applicabilità industriale.

A cosa serve?

Il brevetto per nuovo uso ha diverse finalità:

  1. Estensione della protezione brevettuale: consente alle aziende di prolungare i diritti esclusivi su un prodotto già brevettato, trovando nuove applicazioni per esso.
  2. Incremento del valore economico di un’invenzione: un nuovo uso può aprire mercati aggiuntivi e offrire nuove opportunità di guadagno.
  3. Promozione della ricerca e sviluppo: incentiva le imprese a investire nell’esplorazione di nuove applicazioni per tecnologie esistenti.
  4. Benefici per la salute e la società: in ambito farmaceutico, permette di scoprire nuovi trattamenti per malattie utilizzando farmaci già esistenti.

Quali sono i vantaggi del brevetto per nuovo uso?

  • Prolungamento della protezione: permette alle aziende di estendere i diritti di esclusiva su un’invenzione, ritardando la concorrenza generica.
  • Riduzione dei costi di ricerca e sviluppo: rispetto alla creazione di un nuovo prodotto, individuare un nuovo uso per un’invenzione già nota può essere meno oneroso.
  • Semplificazione delle procedure di autorizzazione: nel caso dei farmaci, ad esempio, un nuovo uso potrebbe richiedere meno test clinici rispetto a un principio attivo completamente nuovo.
  • Possibilità di nuovi brevetti dipendenti: un brevetto per nuovo uso può generare nuove opportunità di licensing e collaborazione.

E quali gli svantaggi?

  • Protezione limitata: il brevetto copre solo il nuovo uso e non impedisce a terzi di utilizzare il prodotto per altri scopi già noti.
  • Difficoltà nell’applicazione legale: far rispettare un brevetto per nuovo uso può essere complesso, poiché è difficile monitorare se un concorrente sta utilizzando il prodotto brevettato per lo stesso scopo.
  • Ostacoli alla concorrenza e accessibilità: nel settore farmaceutico, potrebbe limitare la disponibilità di trattamenti a basso costo, mantenendo i prezzi alti.
  • Requisiti rigorosi di brevettabilità: dimostrare che un nuovo uso sia innovativo e non ovvio per un esperto del settore può essere difficile.

Il brevetto per nuovo uso rappresenta un’opportunità strategica per le aziende, specialmente nei settori ad alto tasso di innovazione come il farmaceutico e il tecnologico. Tuttavia, presenta anche delle criticità legate alla sua applicazione e protezione. Per questo motivo, le imprese devono valutare attentamente i costi e i benefici prima di intraprendere il percorso di brevettazione di un nuovo uso.

Nel panorama musicale contemporaneo, l’equilibrio tra l’autonomia artistica e le necessità commerciali è una delle sfide più grandi per ogni artista. Taylor Swift, una delle figure più influenti della musica pop moderna, ha vissuto sulla propria pelle le difficoltà di questo equilibrio, specialmente quando, nel 2018, ha deciso di fare il grande passo e firmare un contratto con la casa discografica Republic Records, abbandonando la Big Machine Records, etichetta che l’aveva lanciata nel panorama musicale mondiale. Questo passaggio, seppur carico di opportunità, ha avuto anche un costo, ovvero la perdita dei suoi primi sei album, registrati con la Big Machine Records nel periodo compreso tra il 2006 e il 2017.

Le motivazioni

Agli esordi di carriera, Taylor Swift ha firmato il primo contratto con la casa discografica Big Machine Records; nelle contrattazioni tra musicisti e case discografiche, è solito che la casa discografica detenga i diritti sulle registrazioni originali (master), in cambio di un compenso anticipato all’artista, mentre l’artista rimane proprietario dei diritti sulla canzone o composizione musicale di per sé, quindi testi e melodie.

Nello specifico, a seguito dell’accordo tra Taylor Swift e la Big Machine Records, la casa discografica finiva per detenere i diritti sulle registrazioni originali dei pezzi, mentre alla cantante restavano i diritti relativi alla proprietà dei testi e delle melodie.

La costruzione del marchio personale e il successo

A seguito del passaggio della cantante alla nuova casa discografica, la Big Machine Records è stata poi acquisita dal manager Scooter Braun che, con questa acquisizione, ha finito per ottenere i diritti sulle registrazioni originali presenti nei primi sei album di Swift, nonché una percentuale sugli incassi e sull’utilizzo di tali canzoni, oltre al potere di decidere come esse potessero essere impiegate, senza che la cantante potesse avere voce in capitolo.

Nonostante diversi tentativi, la cantante non è mai riuscita ad acquistare i diritti sui pezzi originali. Conseguentemente, vista l’impossibilità di sfruttare appieno il potenziale commerciale dei suoi album storici, la cantante ha avuto l’idea di procedere ad una ri-registrazione dei primi sei album, dal momento che su questi deteneva ancora i diritti relativi alla proprietà dei testi e delle melodie. Ai sensi della legge statunitense sul diritto d’autore, infatti, i diritti della casa discografica proprietaria della registrazione originale – ossia del master – non si estendono alla creazione o duplicazione di un’altra registrazione sonora consistente in una fissazione indipendente di altri suoni, anche se questi possono imitare quelli registrati nel master.

La scelta di registrare di nuovo le sue canzoni storiche ha avuto un impatto enorme, sia sul piano commerciale sia sul piano emotivo. Ogni uscita di una ri-registrazione, accompagnata questa volta dal marchio registrato Taylor’s Version, è diventata un evento mediatico e coinvolgente per i fan, che hanno solidarizzato con l’artista contro il potere a loro giudizio preponderante delle case discografiche.

Inoltre, ogni “Taylor’s Version” ha visto l’introduzione di nuove tracce (i cosiddetti “From the Vault”), che hanno ulteriormente attirato l’attenzione del pubblico, trasformandosi in una vera e propria strategia di marketing che ha polarizzato l’attenzione dei fans a livello mondiale.

Ad oggi, la cantante ha registrato un notevole numero di marchi, relativi al proprio patronimico, sigla, nonché a molteplici titoli di canzoni e album; questi risultano, inoltre, registrati in relazione a categorie merceologiche differenziate tra loro, che vanno da capi di abbigliamento ai servizi di intrattenimento fino a prodotti quali poster e fotografie, dando vita ad un vero e proprio fenomeno di marketing di estremo successo.

Impatto culturale derivante

La mossa di Taylor Swift relativa alla ri-registrazione degli album storici non solo ha rinvigorito la sua carriera, ma ha anche avuto un impatto significativo sull’intera industria musicale. La rinnovata attenzione sui suoi album ha contribuito ad aumentare le vendite dei suoi master rilasciati dalla Big Machine, ma ha anche spinto altri artisti a riflettere sulle proprie contrattazioni con le etichette discografiche, soprattutto riguardo ai diritti sui master.

Dal punto di vista culturale, l’azione di Taylor Swift ha sottolineato un cambiamento più ampio nell’industria musicale, dove il controllo creativo e commerciale viene più accentrato nelle mani degli artisti, e non più solo in quelle delle etichette discografiche. La cantante ha utilizzato la sua visibilità per sensibilizzare il pubblico sui problemi legati alla gestione dei diritti d’autore, e la sua battaglia ha ispirato un’intera generazione di artisti a prendere coscienza del valore del proprio lavoro e della propria arte.

Il caso di Taylor Swift è un esempio lampante di come il marchio di un artista e il controllo sulla propria musica possano diventare strumenti di lotta e di empowerment. La risposta della cantante alla perdita dei diritti sui suoi album storici ha rafforzato il suo status di icona culturale e imprenditrice. Rilasciando le versioni rinnovate dei suoi lavori, Swift ha dimostrato come sia possibile riconquistare il controllo su un passato commerciale che, in un altro scenario, sarebbe stato destinato a restare nelle mani di altre persone.

In questo modo, Taylor Swift non solo ha ridefinito il concetto di marchio nell’industria musicale, ma ha anche mostrato a tutti gli artisti come la perdita di qualcosa possa, paradossalmente, trasformarsi in un’opportunità per riprendersi la propria voce e il proprio futuro.

Il periodo di segretezza nei brevetti rappresenta una fase cruciale nel processo di protezione delle invenzioni. Esso si riferisce al lasso di tempo in cui una domanda di brevetto rimane riservata e non viene pubblicata ufficialmente dagli uffici brevetti. Questo periodo, che nella maggior parte delle giurisdizioni dura 18 mesi dalla data di deposito o dalla data di priorità, ha implicazioni significative per gli inventori, le aziende e il mercato.

Significato del Periodo di Segretezza

Quando un inventore o un’azienda deposita una domanda di brevetto, l’ufficio brevetti mantiene il contenuto dell’invenzione segreto per un determinato periodo. Durante questo tempo, solo il richiedente e l’ufficio brevetti hanno accesso alle informazioni tecniche dell’invenzione. Trascorsi i 18 mesi, la domanda viene pubblicata e diventa consultabile dal pubblico, indipendentemente dall’esito della procedura di concessione del brevetto.

Tale meccanismo è stato introdotto per bilanciare gli interessi dell’innovazione con quelli della trasparenza del mercato, permettendo agli inventori di proteggere temporaneamente i propri progetti mentre decidono la loro strategia commerciale e legale.

Vantaggi del Periodo di Segretezza

  1. Protezione strategica: Durante il periodo di segretezza, l’inventore può lavorare sullo sviluppo dell’invenzione senza il rischio che concorrenti ne vengano a conoscenza troppo presto. Questo consente di mantenere un vantaggio competitivo.
  2. Possibilità di ritiro: Se, prima della pubblicazione, il richiedente decide di non proseguire con la domanda (ad esempio per mancanza di fondi o per mutate esigenze aziendali), può ritirarla senza che il contenuto venga reso pubblico. In questo modo, l’invenzione può essere mantenuta segreta e, se necessario, ripresentata successivamente in una forma migliorata.
  3. Opportunità di esplorazione commerciale: Il periodo di segretezza permette ai titolari della domanda di sondare il mercato, cercare investitori o partner industriali senza dover rivelare immediatamente tutti i dettagli tecnici.

Svantaggi del Periodo di Segretezza

  1. Incertezza per terzi: Poiché le domande non sono immediatamente pubbliche, le aziende concorrenti potrebbero sviluppare tecnologie simili senza sapere che sono già oggetto di una richiesta di brevetto. Questo può portare a conflitti e duplicazione degli sforzi.
  2. Ritardo nella divulgazione della tecnologia: La pubblicazione ritardata significa che le informazioni tecniche contenute nella domanda di brevetto non sono immediatamente disponibili per il pubblico, il che può rallentare la diffusione della conoscenza scientifica e tecnologica.
  3. Potenziale rischio di obsolescenza: In alcuni settori ad alta innovazione, come l’informatica o la biotecnologia, 18 mesi possono essere un periodo lungo. Un’invenzione potrebbe diventare obsoleta prima ancora della pubblicazione, riducendo il valore della protezione brevettuale.

Il periodo di segretezza nei brevetti è uno strumento importante che offre protezione e flessibilità agli inventori, ma comporta anche alcuni svantaggi, soprattutto in termini di trasparenza e rapidità della diffusione tecnologica. La scelta di come gestire questo periodo dipende dalle strategie aziendali, dal settore di riferimento e dalla necessità di proteggere l’innovazione nel modo più efficace possibile.

La licenza del marchio è uno strumento a disposizione delle aziende che desiderano ampliare la propria portata, diversificare le proprie offerte e generare nuove fonti di reddito. Si tratta di un contratto commerciale in cui il titolare di un marchio (licenziante) concede ad un’altra entità (licenziatario) il diritto di utilizzare il proprio marchio per la produzione, distribuzione e vendita di determinati prodotti o servizi. Questo modello, ovvero l’uso strategico di un marchio per creare una vasta gamma di prodotti, è alla base del merchandising.

Licenza del marchio

La licenza del marchio è un accordo secondo il quale un’azienda consente ad un’altra di utilizzare il proprio marchio per la vendita di prodotti, in cambio di un compenso, solitamente sotto forma di royalties (una percentuale sulle vendite dei prodotti). Il licenziatario, attraverso questo accordo, ottiene il permesso di utilizzare un marchio conosciuto e apprezzato senza doversi preoccupare di costruire da zero un’identità di brand.

Un contratto di licenza include diversi aspetti, tra cui:

  • Specifici settori merceologici: la licenza solitamente è concessa per settori merceologici omogenei e può coprire diversi campi (abbigliamento,  giocattoli, articoli sportivi, arredamento, etc…)
  • Territorialità: l’accordo può essere limitato a determinati paesi o regioni, in base alla strategia del licenziante.
  • Durata: di solito, la licenza ha una durata determinata che è tuttavia rinnovabile, in dipendenza ad esempio dai risultati conseguiti dal licenziatario.

Il mercato del merchandising e le opportunità

Il merchandising è un settore in cui la licenza del marchio trova ampio spazio, soprattutto per i marchi con un forte appeal emotivo o un grande seguito. Il merchandising consente di estendere la presenza di un brand oltre i suoi prodotti originali, raggiungendo un pubblico più vasto attraverso la creazione di articoli che portano il marchio in contesti quotidiani. Questo approccio può essere particolarmente vantaggioso per marchi legati a franchise di film, personaggi di libri, eventi o celebri personalità.

Nel settore del merchandising, le licenze permettono di capitalizzare sull’identità di un brand per creare una serie di articoli “firmati”. Esempi comuni includono:

  • Film e serie TV: merchandising legato a brand cinematografici o televisivi come i film Marvel, Star Wars, o Harry Potter.
  • Sport e intrattenimento: maglie, cappellini, e altri accessori.
  • Personaggi famosi e influencer: La creazione di linee di abbigliamento, accessori o altri prodotti che sfruttano la popolarità di una persona.

Il merchandising offre anche il vantaggio di diversificare l’offerta di un brand, permettendo a chi detiene il marchio di esplorare nuovi settori senza dover investire direttamente nella produzione dei beni. Il licenziatario, d’altra parte, approfitta della notorietà del marchio per aumentare la visibilità dei propri prodotti e generare un flusso di entrate aggiuntivo.

Vantaggi per il licenziante

Il titolare del marchio (licenziante) trae numerosi benefici dal concedere in licenza il proprio marchio, tra cui:

  1. Espansione della visibilità: con la licenza, il marchio può raggiungere nuovi mercati e consumatori senza dover investire direttamente nella creazione e distribuzione di nuovi prodotti.
  2. Nuove fonti di reddito: Le royalties derivanti dalle vendite dei prodotti rappresentano una fonte di guadagno passivo.
  3. Riduzione del rischio: non dovendo produrre direttamente i beni, il licenziante riduce i rischi finanziari legati alla produzione e distribuzione.
  4. Aumento della brand loyalty: la presenza del marchio su una vasta gamma di prodotti può rafforzare il legame con i consumatori e aumentarne la fedeltà.

Vantaggi per il licenziatario

Il licenziatario, ovvero l’azienda che acquisisce il diritto di utilizzare il marchio, guadagna anch’esso una serie di opportunità, tra cui:

  1. Accesso ad un marchio conosciuto: il licenziatario può sfruttare la notorietà del marchio per lanciare prodotti con una base di consumatori già pronta ad acquistare.
  2. Minori costi di marketing: utilizzare un marchio conosciuto consente di ridurre significativamente i costi di acquisizione di nuovi clienti, poiché il brand stesso può già essere un forte motore di attrazione.
  3. Innovazione del prodotto: i licenziatari hanno la possibilità di sviluppare nuovi prodotti sotto un marchio di successo, esplorando diverse categorie merceologiche.

La gestione del contratto di licenza

Un aspetto fondamentale per il successo della licenza del marchio è la redazione di un contratto di licenza chiaro e ben strutturato. Alcuni aspetti che devono essere presi in considerazione includono:

  • royalties: la percentuale di guadagno che il licenziante riceve sulle vendite del licenziatario.
  • Controllo della qualità: è molto importante avere garanzie relative alla qualità dei prodotti che andranno venduti sotto l’egida del marchio in licenza, ossia i prodotti dovranno essere conformi agli standard qualitativi e all’immagine del brand.
  • Durata e territorio: il contratto deve specificare la durata dell’accordo e i limiti geografici in cui il marchio può essere utilizzato.
  • Esclusività: alcuni contratti di licenza prevedono un’esclusività territoriale o di prodotto, che impedisce al licenziatario di concedere la licenza a terzi.

La licenza di marchio e il merchandising sono strumenti strategici che offrono ampie possibilità di espansione e diversificazione sia per i titolari di marchi affermati che per le aziende emergenti. Se gestiti correttamente, questi accordi possono portare vantaggi significativi a entrambe le parti, creando un circolo virtuoso di crescita, visibilità e redditività. Tuttavia, per evitare conflitti e ottimizzare i risultati, è fondamentale che il contratto di licenza sia ben negoziato e chiaramente definito, tenendo conto degli interessi di tutte le parti coinvolte.

I segreti industriali, noti anche come trade secrets, rappresentano un pilastro fondamentale della proprietà intellettuale, offrendo alle imprese un vantaggio competitivo duraturo. Si tratta di informazioni riservate di natura tecnica, commerciale o strategica che hanno valore economico proprio grazie alla loro segretezza. A differenza di brevetti, marchi o design registrati, i segreti industriali non necessitano di registrazione, ma devono soddisfare tre requisiti chiave: essere segreti, avere un valore economico grazie alla loro riservatezza e essere protetti da misure adeguate per mantenere tale riservatezza.

Cosa sono i segreti industriali?
Un segreto industriale può riguardare un’ampia gamma di informazioni: formule chimiche, algoritmi software, processi produttivi, strategie aziendali, liste di clienti o fornitori, e molto altro. Il loro punto di forza risiede nella possibilità di essere protetti potenzialmente per sempre, purché le informazioni restino riservate. Un esempio emblematico è la formula della Coca-Cola, custodita gelosamente da oltre un secolo.

Come nascono i trade secrets?
I segreti industriali nascono nel momento in cui un’informazione viene creata e trattata come riservata. A differenza di altri strumenti di proprietà intellettuale, non è necessario un iter amministrativo o una registrazione formale: ciò che conta è che l’azienda adotti misure concrete per tutelare la confidenzialità dell’informazione. Questo implica un approccio strutturato, che si basa su normative interne, limitazioni di accesso e strumenti contrattuali.

Come si proteggono i segreti industriali?
La protezione dei trade secrets richiede un sistema integrato di misure tecniche, legali e organizzative. Tra le più comuni troviamo:

  • Accordi di non divulgazione (NDA): strumenti contrattuali che impongono l’obbligo di riservatezza a dipendenti, collaboratori e partner commerciali.
  • Restrizioni di accesso: sistemi informatici protetti, controllo degli accessi fisici e digitali alle informazioni sensibili.
  • Formazione interna: sensibilizzazione del personale sull’importanza della protezione dei dati riservati e sulle sanzioni in caso di violazioni.
  • Politiche aziendali interne: regolamenti che disciplinano l’utilizzo e la gestione delle informazioni riservate.

A livello normativo, la tutela dei segreti industriali è garantita dalla Direttiva UE 2016/943, recepita in Italia con il Decreto Legislativo n. 63/2018, nonchè dagli artt. 98 e 99 del C.P.I. Questa normativa definisce i criteri per identificare un segreto industriale e disciplina le azioni legali in caso di appropriazione, divulgazione o utilizzo illecito delle informazioni riservate. Tuttavia, è importante sottolineare che la protezione decade nel momento in cui il segreto diventa pubblico o viene scoperto in modo autonomo e legittimo da terzi.

L’importanza strategica dei trade secrets
I segreti industriali sono una risorsa strategica cruciale per le imprese, soprattutto in settori altamente innovativi. La loro natura flessibile e la possibilità di proteggerli indefinitamente li rendono particolarmente adatti per salvaguardare innovazioni che non possono essere brevettate o che si desidera mantenere riservate per ragioni strategiche. Tuttavia, la gestione dei trade secrets richiede un approccio proattivo, rigoroso e consapevole: la perdita o la divulgazione di tali informazioni può compromettere seriamente la competitività di un’azienda.

In conclusione, i segreti industriali rappresentano un elemento chiave della proprietà intellettuale e della strategia aziendale, a condizione che siano adeguatamente protetti. Investire nella loro tutela significa salvaguardare il futuro e il successo delle imprese.

Un marchio registrato non è semplicemente un nome o un logo custodito in un registro: per mantenere la sua validità e la sua capacità di essere opponibile a terzi, deve essere utilizzato in modo conforme alle normative applicabili nel territorio in cui è registrato. Questo principio, noto come requisito dell’uso, rappresenta un elemento cruciale nel sistema della proprietà industriale.

Perché l’uso è fondamentale per la validità di un marchio?

Un marchio registrato acquisisce e conserva il suo diritto di esclusiva (la facoltà del titolare di vietare a terzi l’uso di marchi identici o simili in relazione a prodotti / servizi uguali o affini) grazie all’uso concreto nel commercio. Non è sufficiente che il marchio sia presente in un registro ufficiale: per essere opponibile a terzi in caso di conflitti, deve essere dimostrato che il marchio viene effettivamente utilizzato per i prodotti e/o servizi per i quali è stato registrato.

L’assenza di un uso effettivo può avere conseguenze gravi, come:

  • La decadenza: Se un marchio non viene utilizzato per un periodo continuativo (generalmente tre o cinque anni a seconda della legislazione nazionale di riferimento), può essere dichiarato decaduto su richiesta di una parte interessata o – in alcuni territori – anche d’ufficio.
  • L’impossibilità di opporsi a terzi: Un marchio non utilizzato potrebbe non essere opponibile a un marchio simile o identico di nuova registrazione, rendendo difficile proteggere il proprio brand.

Le normative sull’uso dei marchi variano da un paese all’altro. Ogni territorio definisce i propri criteri per considerare l’uso di un marchio valido.

Per soddisfare il requisito dell’uso e difendere la validità di un marchio, è fondamentale tenere una corretta documentazione delle attività che dimostrano il suo utilizzo. Tra le prove utili rientrano:

  1. Fatture: Documentazione di vendite o fornitura di prodotti/servizi associati al marchio.
  2. Cataloghi e brochure: Materiali che mostrano il marchio in relazione ai prodotti o servizi offerti.
  3. Contratti di licenza: Accordi che confermano l’uso del marchio da parte di licenziatari autorizzati.
  4. Materiali pubblicitari: Annunci, campagne marketing, siti web e social media che utilizzano il marchio.
  5. Etichette e packaging: Prove fisiche o fotografiche dell’uso del marchio sui prodotti.
  6. Partecipazione a fiere o eventi: Documenti che dimostrano l’uso pubblico del marchio.

L’importanza di un archivio organizzato

Mantenere un archivio organizzato di tutte le prove d’uso è una pratica essenziale per i titolari di marchi, soprattutto per aziende con registrazioni in più paesi. Una gestione attenta consente di:

  • Rispondere prontamente a richieste di prova d’uso in caso di opposizioni o contenziosi.
  • Prevenire il rischio di decadenza per non uso.
  • Difendere i propri diritti in maniera efficace in tutti i territori rilevanti.

Il requisito dell’uso non è solo una formalità, ma una condizione essenziale per garantire che un marchio mantenga la sua validità e la sua capacità di proteggere il brand da eventuali abusi. Comprendere le normative locali, adottare una strategia di gestione del marchio e raccogliere sistematicamente le prove d’uso sono passaggi cruciali per chiunque desideri salvaguardare il valore del proprio marchio a livello globale.

Investire in una gestione consapevole e strategica dei propri diritti di marchio è la chiave per mantenere un vantaggio competitivo duraturo.

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