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9 Gen 2017 - News

Brevetti e contraffazione: Davide batte Golia. 2 a 0

Se l’avessimo letta su un libro di quelli polverosi con la copertina rigida, non avrebbe avuto nulla da invidiare ad una storia scritta da Tolkien, nella quale i piccoli Hobbit sconfiggono gli enormi e – all’apparenza – invincibili orchi. Quello a cui abbiamo invece assistito in quest’ultimo periodo è pura realtà. Dovrebbe iniziare dunque con “c’era una volta” la nostra storia, fatta da una piccola azienda bresciana, la Hop Mobile, titolare di alcune domande di brevetto italiane ed europee che si contano sulle dita di una mano. Non un gigante insomma, ben lontano dagli oltre cento brevetti europei depositati dal colosso Coreano della telefonia mobile.

Ed è proprio uno di quei brevetti ad essere stato al centro di una disputa iniziata nel 2008. Dal titolo che a quell’epoca sembrava fantascientifico “terminale telefonico multiuso” e che, per il 2001 rappresentava infatti una assoluta novità che permetteva di gestire contemporaneamente il profilo di due sim nello stesso apparecchio, senza la necessità di passare da una all’altra. La giustizia italiana, dopo un procedimento durato 8 anni, ha riconosciuto la sussistenza della contraffazione del brevetto da parte di Samsung, costringendo gli asiatici a risarcire l’impresa di Roncadelle, nel bresciano con 2 milioni di euro, calcolati in cinquanta euro per ogni telefono venduto in Italia al quale era applicata la tecnologia risultata contraffatta.

Ma per essere degna del miglior Signore degli Anelli che si rispetti, questa storia non poteva che avere un secondo capitolo. Che stavolta si svolge a Vicenza, dove a gennaio la Guardia di Finanza ha sequestrato, su ordine del Sostituto Procuratore del capoluogo veneto, un quantitativo di smartphone e tablet che sembrano essere in conflitto con un brevetto registrato dalla società italiana Edico S.r.l., un’azienda romana che opera nel settore dell’elettronica di consumo. L’oggetto del contendere, questa volta, è un brevetto europeo, il cui oggetto è un dispositivo che permette di visualizzare sul dispositivo, una volta collegati cuffie o auricolari, una barra del volume che cambia colore a seconda della potenziale pericolosità per l’udito del volume raggiunto. Dopo il sequestro, ora sarà il momento della verifica sull’effettiva o meno violazione, che la Edico stima in 60 milioni di euro. I modelli sequestrati, solo nel vicentino, solo 21 in tutto; qualora però venisse confermata la contraffazione, i numeri su scala nazionale diventerebbero ben più rilevanti così come il risarcimento che dovrà essere corrisposto.

E se c’è una cosa che questa storia ci insegna è che in Italia siamo ancora tra i migliori nel settore della ricerca, innovazione e sviluppo – una spanna avanti ai big indiscussi del commercio – e che a volte non basta lo spauracchio di una controparte con infinite risorse economiche, a spaventare le nostre imprese. E soprattutto che a volte avere enormi capitali a disposizione non basta automaticamente per avere le migliori menti a disposizione.

L’altra morale di questa vicenda però non può che sottolineare, una volta ancora, quanto sia indispensabile il ricorso alla tutela della proprietà industriale, delle proprie invenzioni, dei propri marchi e design, e dei propri modelli di utilità per non rischiare di rendere vani gli sforzi dei nostri inventori e dei nostri creatori. Troppo spesso infatti gli investimenti in protezione della PI sembrano, a prima vista e a causa di analisi superficiali, essere inutilmente superflui e si preferisce allocare quei fondi altrove. In una realtà, quella italiana – ma anche europea e in generale occidentale – dove la competizione non può più in alcun modo basarsi sul prezzo, dove chi vuole produrre e commercializzare prodotti a basso costo sposta le proprie imprese verso est, non possiamo che combattere nel campo dove siamo più preparati e, spesso, imbattibili: nessuno infatti sarà mai in grado di battere il nostro spirito innovativo e la nostra voglia di sviluppo e la nostra capacità di fare ricerca.

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