25 Feb 2025 - Approfondimenti
La dottrina degli equivalenti nel diritto dei brevetti
La dottrina degli equivalenti rappresenta un principio giuridico fondamentale nel diritto brevettuale, volto a garantire una tutela effettiva dell’invenzione oltre il mero significato letterale delle rivendicazioni del brevetto. Questa dottrina consente al titolare del brevetto di far valere i propri diritti anche contro soluzioni tecniche che, pur non riproducendo esattamente ogni elemento rivendicato, raggiungono sostanzialmente lo stesso risultato attraverso mezzi equivalenti.
Origini e fondamenti della dottrina
La dottrina degli equivalenti trova origine nella giurisprudenza anglosassone e si è sviluppata progressivamente anche nei sistemi giuridici europei. Negli Stati Uniti, il principio è stato formalizzato nella storica sentenza Graver Tank & Manufacturing Co. v. Linde Air Products Co. (1950), in cui la Corte Suprema ha affermato che una variazione non letterale di un’invenzione può comunque costituire contraffazione se svolge la stessa funzione, nello stesso modo e con lo stesso risultato (test della function-way-result).
In Europa, la dottrina ha trovato applicazione attraverso la Convenzione sul Brevetto Europeo (CBE), in particolare nell’articolo 69 e nel relativo Protocollo interpretativo, che stabiliscono che la portata della protezione di un brevetto non è limitata all’interpretazione strettamente letterale delle rivendicazioni, ma deve essere determinata in modo equo considerando anche gli equivalenti.
Come funziona la dottrina degli equivalenti?
La dottrina degli equivalenti permette di ampliare la tutela brevettuale al di là del testo letterale delle rivendicazioni. In generale, per determinare se un’invenzione contraffà un brevetto sotto il principio degli equivalenti, si analizzano tre criteri fondamentali:
- Equivalenza funzionale – L’elemento sostitutivo svolge la stessa funzione dell’elemento brevettato.
- Equivalenza strutturale – L’elemento opera nello stesso modo dell’elemento originale.
- Equivalenza del risultato – L’elemento produce lo stesso effetto dell’elemento brevettato.
Nei sistemi giuridici europei, si utilizza anche il test Improver (o test delle domande di Improver Corporation v. Remington Consumer Products), che verifica se la modifica apportata è ovvia per un esperto del settore e se il risultato ottenuto è sostanzialmente identico a quello della soluzione brevettata.
Finalità e limiti della dottrina
L’obiettivo principale della dottrina degli equivalenti è evitare che terzi possano eludere la protezione brevettuale attraverso modifiche minime e non sostanziali. Tuttavia, l’applicazione della dottrina deve bilanciare due esigenze:
- Tutela dell’inventore, che deve poter godere di un’effettiva protezione della sua invenzione.
- Certezza giuridica per i terzi, affinché possano comprendere chiaramente i confini della protezione brevettuale.
Un limite significativo della dottrina è il principio della “rinuncia” (prosecution history estoppel), secondo cui il titolare del brevetto non può rivendicare una protezione più ampia rispetto a quanto dichiarato in fase di esame davanti all’ufficio brevetti. Inoltre, la dottrina non può essere utilizzata per espandere il brevetto oltre ciò che un esperto del settore potrebbe ragionevolmente prevedere.
La dottrina degli equivalenti rappresenta quindi un meccanismo essenziale per garantire una protezione efficace dei brevetti, impedendo elusioni facili e favorendo un equilibrio tra l’interesse dell’inventore e quello del pubblico. La sua applicazione varia da giurisdizione a giurisdizione, ma il principio sottostante rimane lo stesso: la protezione brevettuale non si limita al significato letterale delle rivendicazioni, bensì comprende anche soluzioni tecniche equivalenti, purché soddisfino i criteri stabiliti dalla giurisprudenza.