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4 Nov 2025 - News

Brevetti e innovazione: l’Italia tra tradizione e nuove sfide tecnologiche

L’innovazione italiana vive oggi una fase di contrasti. Da un lato, il Paese continua a distinguersi nei settori industriali storici – meccanica, trasporti e ingegneria – dove vanta una tradizione solida e riconosciuta a livello internazionale. Dall’altro, però, l’Italia fatica a imporsi nei comparti che stanno ridisegnando l’economia mondiale: digitale, biotecnologie e intelligenza artificiale. È in questi ambiti che si concentra il valore aggiunto dell’industria contemporanea, dove si attirano investimenti, si generano nuove filiere e si costruisce la competitività del futuro.

La fotografia dell’innovazione italiana

A delineare questo scenario è la quinta edizione della Relazione sulla ricerca e l’innovazione in Italia, curata da tre istituti del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Irpps, Ircres e Issirfa) con il contributo dell’Area Studi Mediobanca. Il rapporto prende in esame i brevetti depositati presso lo USPTO (Ufficio Brevetti e Marchi degli Stati Uniti) nel ventennio 2002–2022, fornendo un quadro ampio e comparativo della capacità innovativa del nostro Paese.

I risultati non lasciano spazio a equivoci: pur in presenza di una crescita costante dei depositi, l’Italia resta nella parte bassa della classifica europea per numero di brevetti in rapporto alla popolazione. La distanza rispetto ai Paesi leader non si riduce: Svizzera e Svezia confermano il primato, mentre la Danimarca si impone come nuovo polo emergente dell’innovazione.

Un portafoglio forte ma sbilanciato

Il tessuto brevettuale italiano si espande, ma rimane ancorato ai comparti tradizionali, meno esposti alla concorrenza tecnologica globale. Le aree a più alta intensità innovativa – come digitale, biotecnologie e IA – continuano a rappresentare una quota marginale. Questa asimmetria rivela un problema strutturale: la difficoltà a inserirsi nei mercati più dinamici e strategici dell’economia della conoscenza.

Ricerca pubblica e università: i veri motori del cambiamento

Nel panorama complessivo, il sistema pubblico della ricerca mostra però segnali di rinnovata vitalità. Università e centri di ricerca stanno assumendo un ruolo crescente nella produzione brevettuale, soprattutto nei settori ad alto contenuto scientifico. In testa alla classifica nazionale per numero di brevetti registrati negli Stati Uniti si colloca il Politecnico di Milano, seguito dal Cnr, dall’Università di Bari, da Bologna e dalla Sapienza di Roma.

Quando gli atenei si trasformano in piattaforme di collaborazione con le imprese, gli effetti sul territorio si moltiplicano: nascono spin-off, licenze e nuove opportunità occupazionali qualificate. Come ha ricordato il presidente del Cnr, Andrea Lenzi, l’innovazione «non può restare un concetto astratto, ma deve tradursi in trasferimento tecnologico, in prodotti, processi e servizi che arrivano davvero sul mercato».

Pnrr: opportunità concreta ma incerta nel tempo

Un contributo importante al rilancio della ricerca è arrivato dal Pnrr, che ha permesso di assumere oltre 12.000 nuovi ricercatori e di finanziare bandi a cascata, reti tra università e imprese e numerosi progetti di trasferimento tecnologico. Tuttavia, la Relazione segnala che meno della metà dei fondi destinati al tech transfer è stata effettivamente utilizzata. Inoltre, mancano certezze sulla continuità delle risorse dopo il 2026: il rischio è di interrompere il percorso proprio quando sta iniziando a produrre risultati, vanificando capitale umano e progettualità accumulati.

Le criticità strutturali: fuga all’estero e dipendenza tecnologica

A indebolire il sistema concorre anche la delocalizzazione delle attività di ricerca da parte delle grandi imprese, che spesso trasferiscono all’estero sia i laboratori sia i diritti di proprietà intellettuale. Il risultato è una crescente dipendenza da brevetti stranieri, con ripercussioni sulla sovranità tecnologica e sull’autonomia industriale nazionale.

Le priorità per colmare il divario

Per invertire la tendenza e colmare il divario con i Paesi più avanzati, la Relazione indica alcune linee d’intervento strategiche:

  • Riorientare gli incentivi verso le tecnologie abilitanti – IA, semiconduttori, robotica, scienze della vita – superando la concentrazione sui settori maturi.
  • Rendere più stabili i percorsi di carriera di ricercatori e tecnici, introducendo modelli di tenure track e partnership durature tra accademia e industria.
  • Potenziare il trasferimento tecnologico, dotando gli uffici brevetti di risorse, competenze e fondi dedicati a proof-of-concept e co-investimenti pubblico-privati.
  • Trasformare il mercato interno in un vero laboratorio per l’innovazione, attraverso appalti innovativi, sandbox regolatori e standard aperti.
  • Introdurre strumenti di monitoraggio trasparenti, con benchmark europei trimestrali su tempi di brevettazione, licenze e spin-off.

La sfida decisiva

L’Italia non manca di ingegno né di capacità scientifica. Ciò che serve è una strategia coerente e duratura, capace di garantire continuità alle politiche di innovazione. Senza una governance semplificata e un supporto finanziario stabile, il divario con i Paesi leader rischia di ampliarsi. Ma se il Paese saprà trasformare lo slancio del Pnrr in una politica industriale di lungo periodo, potrà finalmente aspirare a un ruolo di primo piano nella leadership tecnologica e brevettuale europea.

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