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Approfondimenti

23 Ott 2025 - Approfondimenti

Uso di un marchio in una forma diversa da quella registrata: equilibrio tra tutela e flessibilità

Nel panorama del diritto dei marchi, uno dei temi più delicati è stabilire quando un marchio, usato in una forma diversa da quella registrata, mantenga la sua validità giuridica. La questione è tutt’altro che teorica: le imprese modificano spesso i propri loghi o denominazioni per adeguarsi alle tendenze del mercato, alle esigenze di comunicazione o a nuove strategie di branding. Tuttavia, ogni variazione deve rispettare un principio fondamentale: non alterare il carattere distintivo del marchio registrato.

L’origine della prassi comune europea

La rete europea dei marchi, disegni e modelli (ETMDN), sotto il coordinamento dell’EUIPO, ha elaborato nel tempo una prassi comune per armonizzare il modo in cui gli uffici nazionali dell’UE valutano queste situazioni. L’obiettivo è duplice: garantire certezza giuridica agli operatori e coerenza nelle decisioni degli uffici nazionali in materia di uso effettivo del marchio.

L’iniziativa è nata dall’esigenza di uniformare prassi divergenti, dal momento che alcuni Stati membri adottavano criteri molto restrittivi mentre altri, al contempo, approcci più permissivi. La direttiva (UE) 2015/2436 e il regolamento (UE) 2017/1001 hanno fornito la base giuridica per un approccio comune, sancendo che l’uso di un marchio “in una forma che si differenzia per taluni elementi che non alterano il carattere distintivo” costituisce, comunque, un uso valido.

Il principio chiave: il carattere distintivo

Il carattere distintivo rappresenta la capacità di un segno di identificare l’origine commerciale dei prodotti o servizi. Qualsiasi modifica – grafica, verbale o figurativa – va, dunque, valutata alla luce di questo parametro.

Le differenze accettabili sono quelle che non incidono sull’identità essenziale del segno, mentre ogni variazione che ne modifica la percezione complessiva agli occhi del consumatore comporta una perdita di distintività.

Tipologie di modifiche: aggiunte, omissioni e variazioni grafiche

La prassi comune individua tre grandi categorie di variazioni che possono essere apportate a marchi registrati, ossia

  • Aggiunte: se viene aggiunto un elemento distintivo che interagisce col segno registrato creando un nuovo concetto, il carattere distintivo di partenza è necessariamente alterato. Viceversa, l’aggiunta di elementi non distintivi (es. “BIO” in relazione ad un marchio registrato nella classe di preparati per bucato) non incide sulla validità del marchio, quindi costituisce una modifica permessa.
  • Omissioni: la soppressione di un elemento distintivo comporta, generalmente, una modifica sostanziale, salvo che l’elemento omesso sia marginale o trascurabile. L’omissione di elementi descrittivi o deboli, invece, è di norma irrilevante.
  • Modifiche di caratteristiche grafiche: cambiamenti di carattere tipografico, colore, dimensione o posizione non alterano il marchio se la parola o la figura restano riconoscibili. Tuttavia, se tali variazioni rendono il segno illeggibile o ne cambiano il significato, l’identità distintiva risulta compromessa.

Il tutto, naturalmente, è da contestualizzare con la tipologia specifica di marchio di riferimento.

Tipologie: marchi denominativi, figurativi e composti

La prassi distingue tra tre tipologie di marchi di riferimento, ossia

  • Marchi denominativi, in cui la parola è il nucleo distintivo;
  • Marchi figurativi, in cui la grafica predomina;
  • Marchi composti, che uniscono sia elementi verbali, sia elementi visivi.

Nei marchi denominativi, una diversa grafia o colorazione è spesso irrilevante.

Nei marchi figurativi, invece, anche piccole modifiche possono incidere profondamente sulla riconoscibilità del segno.

Nei marchi composti, l’analisi si fa più complessa: ogni cambiamento nella disposizione o interazione degli elementi può alterare l’impressione complessiva.

Un approccio casistico e proporzionato

La prassi ideata ai fini di uniformare gli approcci alla questione sottolinea, di conseguenza, come ogni valutazione debba essere effettuata caso per caso, considerando:

  • il grado di distintività del segno originario;
  • il peso visivo e concettuale degli elementi aggiunti o omessi;
  • l’impressione complessiva prodotta sul pubblico.

Segni fortemente distintivi godono di maggiore tolleranza; quelli deboli, invece, sono più vulnerabili anche a modifiche minime.

Tra certezza e adattabilità

La prassi comune europea sull’uso del marchio in forma differente da quella registrata rappresenta un equilibrio tra tutela giuridica e flessibilità commerciale.
Essa riconosce che i marchi non sono entità statiche, ma strumenti dinamici di comunicazione aziendale. Tuttavia, la libertà di adattamento trova un limite invalicabile, dato da l’integrità del carattere distintivo.

Solo preservando questo equilibrio si può garantire che il marchio continui a svolgere la sua funzione essenziale, ossia quella di identificare l’origine dei prodotti e di tutelare il consumatore e il titolare contro il rischio di confusione.

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